“Vite rampicanti“, viaggi nel cuore delle persone e delle situazioni, sarà un podcast online da novembre 2024. Seguimi sui social e su questo sito.
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I carcerati
I carcerati sono tutte vite rampicanti che ad un certo punto si sono cacciate o sono finite loro malgrado in un groviglio di rovi che toglie loro il respiro e ne impedisce la crescita.
Siamo abituati a guardare con disprezzo i carcerati. E facciamo male perché, come ha scritto nel suo libro “La crepa e la luce” Gemma Calabresi Milite, chi ha commesso un crimine è una persona che nella sua vita ha commesso degli sbagli, ma avrà pur compiuto anche qualcosa di buono. E ce lo ricordano i bambini – è sempre lei a raccontarlo – quando si chiedono come mai muoiono sempre solo le persone buone. Perché, di fronte alla morte, tutti diventiamo più comprensibili e di chi non c’è più cerchiamo solitamente di vedere e salvare la parte buona.
Oggi i carcerati, in ogni parte del mondo, se la vedono proprio male. Una sterminata folla di detenuti politici nei numerosi Paesi dove vigono regimi dittatoriali, persone per lo più innocenti sottoposte a torture e vessazioni di ogni genere. Ma le condizioni carcerarie sono terribili anche nei Paesi cosiddetti civili o democratici che dir si voglia, come in Italia.
Le persone in carcere non sono tutte uguali. Ci sono gli assassini, i ladruncoli, gli spacciatori, i truffatori, molti stranieri. La maggioranza deve scontare pene piuttosto brevi, ma ugualmente devastanti. Sono poveracci, esistenze fragili che non hanno le risorse per condurre una vita dignitosa. Persone che danno molto fastidio alla società che non fa nulla per rendere più giusta la distribuzione delle risorse e degli strumenti di sostegno psicologico e sociale. L’ambiente violento e degradato del carcere, invece di aiutare i detenuti a riscattarsi, ne favorisce l’ingresso in nuove reti malavitose che li porterà a delinquere di nuovo.
IL PIANO GIURIDICO
La ragione che sta a monte di tutto questo risponde a motivazioni di ordine culturale in quanto la pena è concepita semplicemente come una vendetta, un sentimento primitivo che non sempre si osa a confessare. Ma la vendetta lascia sempre l’amaro in bocca. Allora, per superarla, si sono elaborate teorie complicate riguardo il concetto di pena, la sua funzione, la sua giustificazione morale, il suo valore simbolico. Si parla quindi di pena preventiva generale, di pena preventiva speciale, di pena retributiva di ispirazione kantiana. Non voglio addentrarmi in questo labirinto. Prendo semplicemente atto che, di fronte a certi delitti di efferata crudeltà, è umano che la reazione sia altrettanto violenta: la voglia di punire, strozzare, torturare chi ci ha fatto troppo male è comprensibile e per un certo tempo, le fantasie di questo tipo possono aiutare a soddisfare l’animo ferito. Ma lo Stato ha il compito di gestire le emozioni dei singoli, di amministrare la giustizia secondo criteri più alti che vadano oltre a usanze e sentimenti ancestrali, certo non usando quindi gli stessi metodi del delinquente, come nel caso della pena di morte. Altrimenti, dove risiede la sua espressione di civiltà?
Per fortuna in Italia l’art. 27 della Costituzione sancisce che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Purtroppo solo in poche circostanze viene attuato tale principio, a cui concorrono possibilità di studio e di lavoro, assistenza psicologica e spirituale e l’opportunità di accedere alla giustizia riparativa. Su questo argomento può leggere il documento la Direttiva 2012/29/Ue adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio recante «norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato».
Il pIANO UMANO
Sul piano umano voglio tirare in ballo il tema del perdono. Significa entrare nel cuore delle persone offese e in quello di chi ha commesso l’offesa. Significa comprenderne le ragioni e sondare percorsi di riscatto. Significa elaborare un processo di avvicinamento alla sostanza umana che ha portato all’errore e liberare l’offeso dalla rabbia che lo consuma per liberarlo verso un nuovo livello di umanità. E’ quanto è riuscita a fare Gemma Calabresi dopo un lungo cammino che l’ha portata a perdonare persino che non le ha chiesto perdono. Le vite rampicanti sono anche questo.