I martiri di Belfiore: don Enrico Tazzoli

Voglio ricordare un singolare personaggio della storia, un sacerdote che, il 7 dicembre del 1852 gli venne messo il cappio al collo e impiccato con l’accusa di alto tradimento. Era don Enrico Tazzoli, 40 anni, mantovano e coraggiosamente mazziniano, benché Mazzini fosse anticlericale. Accanto a lui, altri quattro giovani condannati dalla repressione austriaca: il medico Carlo Poma di 29 anni, il pittore Giovanni Zambelli di 28 e i patrioti veneziani Angello Scarsellini e Bernardo De Canal, stessa età dei due precedenti. Sono passati alla storia come i Martiri di Belfiore, perché fu lì, in quel posto dal nome romantico, una valletta alla periferia di Mantova, che videro il patibolo.
Ma chi se li ricorda più? E anche se ne abbiamo una reminiscenza, che ne sappiamo della loro vita? Ho scavato negli archivi online per far risorgere in qualche modo la vita autenticamente rampicante di don Enrico Tazzoli che ancor oggi la Chiesa tentenna all’idea di riabilitarne la memoria.

CHI ERA DON TAZZOLI

Era nato a Canneto sull’Oglio nel 1812 da buona e nobile famiglia, i cui orientamenti erano chiari fin dalla sua nascita, considerato che gli fu dato il nome di Enrico Napoleone. A soli nove anni, Enrico manifestò la sua vocazione al sacerdozio. Ordinato sacerdote a Verona, non svolse mai la funzione di parroco, ma esercitò la professione di insegnante di filosofia e storia universale nel seminario vescovile di Mantova.
Coltivò una cultura liberale e improntata ad un umanesimo sociale che egli considerava necessariamente intrecciati alla sua fede cristiana. Nel 1844 pubblicò il “Libro del popolo” contro la disuguaglianza sociale, in cui si legge “Finché il sapere formi la proprietà esclusiva di alcuni esseri privilegiati in una nazione, questa è ben lontana dallo stato di civiltà e quindi dal suo vero benessere, moralità ed agiatezza.”
Fu arrestato una prima volta il 12 novembre 1848 per aver pronunciato nel Duomo una predica[ contro le tiranniche potenze imperiali che vollero il Sacco di Mantova del 1630, con evidentemente allusione agli “imperiali” austriaci suoi contemporanei. Nella perquisizione della casa si chiuse un occhio sulla sciarpa tricolore che si trovava esposta in mezzo ai libri, e si intimò alla madre del sacerdote di bruciare Le 5 giornate di Ignazio Cantù e le poesie del Berchet.
Tazzoli fu quindi rilasciato, e ritornando a casa trovò una nutrita folla ad applaudirne il coraggio e le idee. Tazzoli, pur non condividendo la visione religiosa di Mazzini, si convinse che il movimento della Giovine Italia fosse l’unico che avesse organizzazione e adesioni sufficienti ad assicurare concretezza d’azione. Molto impegnato nell’assistenza filantropica e nella educazione popolare, sposò i principi di un suo cristianesimo “illuminato” con lo spirito umanitario e “democratico” delle lotte risorgimentali, tanto da definire il suo supremo amor di patria la sua “seconda religione”.

IL SUO IMPEGNO E LA CONDANNA

Nel 1850 partecipò alla seduta che pose le basi di un comitato insurrezionale antiaustriaco. In accordo con Mazzini, di cui non condivideva le idee religiose, si impegnò attivamente nella sottoscrizione delle cartelle del prestito interprovinciale mazziniano. Un’attività che gli costò la vita. Nel corso di una perquisizione, gli furono sequestrati molti documenti, fra i quali un registro cifrato in cui aveva annotato incassi e spese, con i nomi degli affiliati che avevano versato denaro. Gli austriaci riuscirono a decifrare la chiave di lettura del suo quaderno, così, oltre a lui, furono arrestati circa novanta iscritti di Mantova, Verona, Brescia e Venezia.
Rinchiusi e sottoposti a torture morali e fisiche nel carcere del Castello mantovano di S. Giorgio o in quello della Mainolda, quasi tutti i prigionieri confessarono, decretando inconsapevolmente la loro fine, dal momento che il codice penale austriaco prevedeva la condanna a morte nei casi di alto tradimento solo per chi si dichiarava colpevole.
Il vescovo di Mantova, monsignor Giovanni Corti, tentò una mediazione attraverso la Santa Sede, contando soprattutto sulla presenza di sacerdoti tra i condannati. Ma il Segretario di Stato vaticano si rifiutò di intervenire per ordine diretto di Pio IX, ed inoltre ordinò al vescovo di procedere, prima dell’esecuzione, alla riduzione allo stato laicale di don Tazzoli.
Il 24 novembre 1851 fu sottoposto all’umiliante cerimonia del ritiro dei paramenti sacri tolti di dosso e alla raschiatura con un coltello della pelle delle dita che avevano sorretto l’ostia dell’eucaristia.
Il 6 dicembre don Enrico scrisse una lettera in cui vi era questa frase: “E mi perdonino i sofferenti tutti gli effetti della mia imprudenza nel tenere un registro, che mi parea voluta dalla mia delicatezza, e giustificato dall’arte con che il registro era tenuto. Io perdono di cuore a chiunque poté in queste faccende o in altro danneggiarmi. Così Dio mi perdoni. E mi perdonino tutti quelli che in qualunque modo fossero o si credessero stati danneggiati ed offesi da me.”
Ai condannati fu negata la sepoltura in terra consacrata.
Il rinvenimento dei corpi dei Patrioti giacenti in una fossa comune avvenne nel giugno del 1866, alla vigilia della Terza Guerra di Indipendenza fra il Piemonte e l’Impero Austro-Ungarico. Mantova si trovava ancora sotto il dominio asburgico. Stava per scoppiare la Terza Guerra di Indipendenza e il comando austriaco ordinò lavori di rafforzamento delle fortificazioni della città, che interessarono anche la zona di Belfiore. Fu proprio durante gli scavi che furono rinvenute le salme dei condannati. Gli operai non rivelarono agli austriaci il loro ritrovamento e chiesero astutamente di poter effettuare lavori anche di notte per accelerare i tempi dello scavo. In questo modo poterono riesumare le salme e trasportarle in gran segreto in un cimitero cittadino. Salme che vennero onorate ufficialmente non appena Mantova entrò a far parte del Regno d’Italia, pochi mesi dopo. Ma la sua damnatio memoriae perdura ancora e solo per interessamento del sociologo Costantino Cipolla dell’Università di Bologna, il velo di oblio si sta sollevando. Si è mossa anche Rai Storia: con Paolo Mieli ed Ernesto Galli della Loggia gli è stato dedicata una trasmissione in occasione del 171 anniversario della sua esecuzione.

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