Paolo Cognetti

Diceva il grande psichiatra novarese Eugenio Borgna, da poco scomparso, che la follia è la sorella sfortunata della poesia. Ho da poco pubblicato sul mio podcast la storia di Antonia Pozzi attingendo a piene mani dal bel libro di Paolo Cognetti che salta fuori la notizia che lo scrittore è appena tornato a casa dopo un ricovero per un attacco acuto di disturbo bipolare (depressione seguita da fase di esaltazione maniacale).

UNA NOTIZIA SCONVOLGENTE?

Una notizia sconvolgente per chi è ancora prigioniero di pregiudizi sulle patologie di natura psichica che possono insinuarsi nella nostra vita. E’ la vergogna e insieme la paura della follia. Non solo del possibile folle della porta accanto ma anche della follia che come un fantasma addormentato potrebbe svegliarsi d’improvviso in ognuno di noi.

Alla notizia è seguita una pioggia di interventi, messaggi di solidarietà sui social, riflessioni inevitabili perché è risultato chiaro a tutti che è una vita più che mai rampicante quella di Paolo, vincitore del premio Strega 2017 con “Le otto montagne”, romanzo divenuto anche un film.

Gli sono affezionato perché racconta territori a me cari, ma anche perché ha scelto di rompere il silenzio su questo argomento ed esprime se stesso in piena libertà quando afferma nel corso di una lunga intervista apparsa su La Repubblica: «Le malattie nervose non sono una vergogna da nascondere».

Nella mia lunga vita sono stato circondato da amici e parenti affetti da questo tormento dell’anima, loro malgrado. Alcuni ce l’hanno fatta a riemergere, altri galleggiano, a volte boccheggiando, e c’è stato anche chi ha scelto di finire tragicamente i suoi giorni. Sono stato loro vicino e ho sofferto insieme a loro, perché non c’è nulla di peggio che dover convivere con quello che è stato più volte definito il male oscuro, un male che rifiuta ogni argomento razionale, che ti prende e ti schiaccia, togliendoti ogni interesse per la vita (gli psicologi parlano di ritiro della libido) o ti esalta a tua insaputa oltre ogni limite, spingendoti a compiere gesti che mai avresti voluto compiere.

IL GENIO DELLA FOLLIA

Un male che spesso è stato l’ispiratore di grandi opere letterarie e artistiche di vario genere, ma questo non basta per accantonarlo definitivamente. Pensiamo a Nietzsche, a Van Gogh, a Munch, Alda Merini e tanti altri. Ed è lungo questo tortuoso percorso che si manifesta come l’essenza di certe vite rampicanti, che non si risparmiano, che dopo periodi di buio e di silenzio, tornano a far sentire la loro voce e a dirci che dobbiamo rispettare il dolore, comprendere quello che agli occhi comuni appaiono come errori, colpe o difetti. Ma non è così, perché tutti prima o poi sperimentiamo angosce e momenti strani ed è anche questo il bello della vita.

Presenta anche un lato estetico tutto questo e ne sapevano qualcosa i poeti maledetti, gli scrittori romantici e gli aderenti al movimento ottocentesco dello sturm und drang, tempesta e sconvolgimento, tutti forieri di grandi ispirazioni che toccano il nocciolo dell’essere umano.

Ma non dobbiamo dimenticare, come diceva lo psicopatologo Karl Jaspers citato da Umberto Galimberti, che: «Ogni volta che ammiriamo un’opera d’arte ci comportiamo come quando ammiriamo una perla, dimenticando che la perla è la malattia della conchiglia. E senza la schizofrenia dell’autore, quell’opera non sarebbe mai nata».

LA PAURA DEL CONTAGIO E LA SPERANZA

E non dimentichiamo il fatto che la follia è trattata ancora senza il rispetto che merita: dobbiamo confinarla perché il contagio è sempre in agguato, ne abbiamo paura, ed ecco allora che anche Paolo Cognetti ha dovuto sperimentare il duro regime del trattamento coatto, una “carcerazione” in un luogo cupo e minaccioso, “legato al letto mani e piedi e con una siringa in una gamba.”

Ora, la frase che più mi ha colpito della lunga intervista di Paolo Cognetti è quella in cui, pensando a un futuro in cui il desiderio torna a farsi sentire: «Vorrei avere cinque o sei amici sinceri, per contare su una mia famiglia vera. E poi essere libero, con un’agenda sempre vuota per i successivi sei mesi. Riuscire a godermi il pianeta, rifugiandomi negli ultimi luoghi rimasti originari. Alla fine anche per me è vivere la cura per riuscire a vivere».

L’amicizia e la contemplazione, due aspetti straordinari e difficili da ottenere, ma che a me sembrano il succo di tutto. In bocca al lupo Paolo da un amico sconosciuto!

Vai al mio podcast https://www.spreaker.com/podcast/vite-rampicanti–6264550

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https://www.open.online/2024/12/19/paolo-cognetti-depressione-sindrome-bipolare-tso/

Paolo Cognetti
Lo scrittore illustrato con Leonardo.AI