Uno, nessuno, centomila: gli invisibili

Un articolo di Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera del lontano 9 gennaio 2009 esordisce in questo modo: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo», spiega Gesù nel Vangelo di Matteo. Eppure non passa giorno nel nostro (sedicente) cattolicissimo Paese senza che tanti (sedicenti) cattolici, con la bocca piena di parole bellicose, in nome delle tradizioni cattoliche, mostrino un quotidiano disprezzo verso chi «non ha dove posare il capo». Un esempio? L’altolà della polizia ai volontari che portavano tè caldo ai clochard rifugiati nella stazione di Mestre: «Non avete l’autorizzazione». C’è voluto il buon cuore, o forse soltanto il senso civico di un prefetto per costringere le ferrovie, in quel frangente di gelo pungente, a tenere aperte la notte le grandi stazioni venete per dare rifugio temporaneo ai senza fissa dimora, che per le autorità dovrebbero essere invisibili. Ma gli episodi di crudeltà da parte di certa gente nei confronti di queste persone indifese si sono moltiplicati e gli interventi di mala polizia in nome del decoro non si contano, come la multa di 160 euro comminata a Firenze il mese prima a poveracci accusati di “dormire in modo palesemente indecente”.

chi sono

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e le persone che si trovano a vivere per strada da perfetti invisibili, perché non sanno dove posare il capo, sono aumentate.
Secondo la Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, per definire una condizione di piena abitabilità è necessario che esistano alcune precise condizioni che rimandano ad altrettante aree ben precise: l’area fisica, l’area sociale e l’area giuridica:
Primo: avere uno spazio abitativo (o appartamento) adeguato sul quale una persona e la sua famiglia possano esercitare un diritto di esclusività. Questa rappresenta l’area fisica.
Secondo: avere la possibilità di mantenere in quello spazio relazioni soddisfacenti e riservate. E qui siamo all’area sociale.
Terzo: avere un titolo legale riconosciuto che ne permetta il pieno godimento, e questa è l’area giuridica.
L’assenza di queste condizioni identifica un problema abitativo importante ma non esclusivo, perché è il contemporaneo o conseguente disagio sociale che determina una situazione umana di terribile sofferenza.

i dati

L’ultimo dato disponibile su queste persone “invisibili” risale al 2022 relativo al Censimento permanente ISTAT della popolazione del 2021. Per la prima volta la rilevazione ha reso disponibili dati su alcuni gruppi specifici di popolazione, tra cui le persone che vivono nelle convivenze anagrafiche, quelle che risiedono in campi autorizzati o insediamenti tollerati e spontanei, e le persone “senza tetto” e “senza fissa dimora“.

Secondo questi dati, sono 96.197 le persone senza tetto e senza fissa dimora iscritte in anagrafe. La maggioranza è composta da uomini e il 38% è rappresentato da cittadini stranieri, provenienti in oltre la metà dei casi dal continente africano. Le persone senza tetto e senza fissa dimora censite sono residenti in 2.198 comuni italiani, ma si concentrano per il 50% in 6 comuni: Roma con il 23% delle iscrizioni anagrafiche, Milano (9%), Napoli (7%), Torino (4,6%), Genova (3%) e Foggia (3,7%).
I cronici, quelli, che sono per strada da oltre 4 anni, sono circa trenta mila.
Del totale, oltre la metà si trova a vagare nelle città del Nord, dove sono presenti maggiori servizi quali mense, dormitori, bagni pubblici, magazzini di abiti usati.
Sei senza tetto su dieci ormai sono stranieri, il 71 per cento è di sesso maschile, l’età media, 45 anni.

Non c’è assistenzialismo nei confronti di questi diseredati invisibili, perciò togliamoci dalla testa che costituiscano un onere per i contribuenti. Solo il 3% di essi dichiara di ricevere un qualche sussidio, mentre il 62% ha un reddito mensile proveniente da qualche forma di attività lavorativa (anche informale e saltuaria, tipo facchinaggio, raccolta stracci, piccole commissioni) con un guadagno medio mensile tra 100 e 500 euro, mentre un terzo vive di espedienti e collette. Il 17% non ha alcuna fonte di reddito.

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